In Trentino, nella piccola località della Val di Non, l’assessora Patrizia Poli ha fatto votare l’affissione del cartello: “Attenzione, rallentare. In questo paese i bambini ancora giocano per strada”
In Trentino c’è un paese in cui i bambini sono padroni delle strade almeno quanto le automobili. A Sfruz, paese microscopico e di lunga storia, agricola e artigianale, in cima alla Val di Non, a mille metri sul livello del mare, sotto il solito cartello che ne segna il territorio ne hanno messo un altro: “Attenzione, rallentare. In questo paese i bambini ancora giocano per strada”. Un richiamo al passato, a quando era così ovunque, e una scommessa per il futuro. L’idea è venuta a Patrizia Poli, da qualche mese assessora (in giunta sono in tre compreso il sindaco, per una lista civica, età media 30 anni), classe 1981 e due figli: “L’ho vista da qualche parte in internet, me la sono segnata e una volta eletta l’ho proposta, è piaciuta”. Un cartello “30” non poteva bastare, non si trattava di fare un recinto ma “di prendere il cuore, più che di affermare una regola”.
A Sfruz i bambini sono cittadini come gli altri anche per questioni numeriche: su 334 abitanti, i minorenni sono oltre sessanta e più di 40 hanno meno di 11 anni. Sei culle si sono riempite nel solo 2016. Quando diventano grandi vanno in giro, fanno l’università, ma poi tornano tutti qui, nel paese che non solo li ha visti crescere, ma ha anche saputo dargli indipendenza e senso di responsabilità. “Molti centri storici sono praticamente disabitati, qui grida e giochi ci fanno pensare a un futuro diverso, e ci sono famiglie che si sono trasferite dalle province di Trento e Bolzano” dice l’orgoglioso sindaco Andrea Biasi, “siamo una comunità che ha un forte dialogo intergenerazionale”. A Sfruz i piccoli a certi rimproveri rispondono con occhi severi spiegando che sono bambini e che stanno giocando, lasciando di stucco villeggianti che abitualmente i figli li vedono davanti alla tv e al tablet quando non sono a scuola o in piscina, a judo, alla fattoria didattica o all’orto educativo, cioè lontano dagli sguardi dei genitori ma non di altri adulti, educatori, istruttori, custodi.
D’estate occupano sguazzando la grande fontana della piazza, tutto l’anno esplorano i burroni graffiandosi con le spine dei rovi, conoscono ancora prima di saper leggere e scrivere le erbe e le bacche e i funghi commestibili e quelli velenosi. Ci sono due parchi giochi che il pomeriggio si riempiono anche coi bimbi dei paesi vicini, uno sta proprio sotto il Municipio, in Comune lavorano con le loro grida nelle orecchie. Il tablet è un’attrazione fenomenale pure qui, beninteso, basta accendere il giocattolo e l’ipnosi ha inizio, e i rimproveri dei genitori sono gli stessi ovunque, solo che qui c’è un sacco di spazio dove scaraventarli. Uno spazio che da oggi è loro anche istituzionalmente, nel paese che riconosce e difende la loro libertà di movimento e di gioco, anche per le strade. Non libertà totale, l’educazione ha sempre un valore, ma l’educazione non riguarda solo i bambini, che alle nove sono a letto, quando si parla di spazi pubblici c’è per tutti qualcosa da imparare su diritti e doveri. E quello al gioco a Sfruz è ancora un diritto. Anche in mezzo alla strada, quando è tempo di giocare, in barba alla fretta degli adulti.